Note critiche


Di Giorgio Grasso ( curatore della biennale di Venezia 2011)
 



Maria Cappello nasce in Calabria, autodidatta, eclettica dipinge per diletto sperimentando tecniche e materiali alla ricerca di forme che siano nuova materia di espresione interiore.

L’elemento principale della sua pittura è il colore: brillante, caldo e vivace. Come una contemporanea Fauves l’artista lavora sulla semplificazione delle forme, sull’abolizione della prospettiva e del chiaroscuro, sull’uso di colori vivaci e innaturale, sull’uso incisivo del colore puro e spesso materico, delineato da una marcata linea di contorno. L’importante non è più, come nell’arte accademica, il significato dell’opera, ma la forma, il colore, l’immediatezza. Partendo da suggestioni e stimoli diversi, ricerca un nuovo modo espressivo, fondato sull’autonomia del quadro.

Paesaggi, particolari di case rurali, soggetti floreali, danze di personaggi fiabeschi abitano le opere di questa fantasiosa artista e sono i protagonisti delle sue “visioni infantili”.
Alle origini della sua poesia e della sua pittura, vi è un rimando alle cromie e alle composizioni di Marc Chagall, in cui tagli geometrici, scomposizioni, intersezioni, simultaneità di motivi, mantengono il loro sapore di fiaba.

Attualità e mito, realtà ed invenzione, creazioni bizzarre e fantastiche si intersecano con effetti spettacolari e di grande armonia nell’opera di Maria Cappello, un racconto ricco di metafore ed allusioni.
Gli scenari surreali che la pittrice ci propone sono un chiaro rimando alla esperienza artistica di Joan Mirò, in entrambi si scatena un universo di segni e figure che trasgredendo qualsiasi principio di unità di tempo, di spazio e di azione, vengono accostati in un contrasto bizzarro che, indubbiamente, ci trasporta in una dimensione onirica e metaforica, richiamando alla mente certi quadri di Hieronymus Bosch o dei manieristi italiani del tardo Rinascimento.
 

Di Marta Lock ( scrittrice, giornalista, curatrice della sezione arte del giornale alpi fashion magazine)


Le opere dell’artista calabrese di origine ma umbra di adozione, portano l’osservatore nel mondo fiabesco dell’infanzia, dove la realtà non era ancora complicata da luci e ombre, da sfumature e da contorni indefiniti. Nel mondo dei bambini tutto è colore intenso, le forme sono semplici, immediate, intinte nella fervida fantasia che fanno immaginare un intero mondo dentro una piccola casetta, un universo in cui le persone sono figure simboliche e sognanti di ciò che vorrebbero diventare da grandi, in cui un prato diviene un luogo magico puntinato di fiori. C’è un forte richiamo al fauvismo nella rappresentazione naif che la Cappello dà alla realtà, un’interpretazione dell’arte che si distacca dalla pittura classica e si trasforma in gioco, divertimento, racconto di un sogno; con lei come con i suoi predecessori l’artista si fa anello di congiunzione tra l’oggettività e la fiaba, come l’impulso creativo assumesse le sembianze di un moderno Peter Pan che non vuole crescere e che volando resta ancorato alla sua anima infantile. Anche i soggetti scelti sono semplici, immediati,
non c’è un significato da comprendere oltre l’immagine, c’è solo la rappresentazione del soggetto e poi tanto spazio alla fantasia dell’osservatore per ricordare, o immaginare, tutto ciò che con l’età adulta spesso si tende a dimenticare, a guardare come qualcosa di infinitamente lontano che ormai non esiste più… ma che in realtà è sempre pronto a tornare a galla. Perché in fondo, questo sembra voler suggerire la Cappello, non dovremmo mai perdere la purezza e l’immediatezza dell’infanzia, la capacità di credere ai sogni, la meraviglia di ascoltare una favola, anche se nella realtà non si è avverata, perché nel momento in cui avevamo creduto potesse realizzarsi, ci eravamo sentiti felici. Non a caso spesso i due temi ricorrenti nei suoi dipinti sono la luna e il volo, simbolo indissolubilmente legato al sogno la prima e manifestazione del desiderio di raggiungerlo il secondo, un puntare il dito verso un infinito irraggiungibile ma proprio per questo incredibilmente desiderabile; così come le case vicine l’una all’altra a simboleggiare una collettività positiva, una comunità che sostiene, infonde calore e al tempo stesso protegge l’individuo  diventano nido rassicurante all’interno del quale tutto diventa possibile, punto di partenza per coltivare speranze e desideri e dove tornare quando la luna non si riesce a raggiungere e le ali non sono sufficientemente forti per riuscire a volare.
Nella sua carriera l’artista ha all’attivo molte collettive sia in Umbria che nel resto d’Italia, oltre a un’esposizione a San Pietroburgo, mentre recentemente ha pubblicato un libro illustrato per bambini in cui le sue opere sono protagoniste assolute.